giovedì 29 dicembre 2011

Invito alla organizzazione della settimana di mobilitazione

Cari compagni,
vi proponiamo di fare una serata di informazione sull’India nella vostra città nella settimana dal 14 al 22 gennaio – in cui si tengono iniziative simili in tante parti del mondo.
Sarebbe organizzata con la partecipazione di un rappresentante italiano del Comitato internazionale di sostegno alla Guerra Popolare che porterebbe con sè, due video: uno con una intervista a Arundhati Roy, la nota scrittrice antimperialista, e un video riassuntivo sulla guerra popolare in India fino agli ultimi avvenimenti – l’assassinio del leader maoista Kishenji, responsabile dell’esercito popolare, i suoi funerali, lo sciopero generale realizzato il 3-4 dicembre – una mostra fotografica e altro materiale informativo diretto in italiano e in altre lingue sulla lotta di liberazione guidata dai naxaliti indiani; nel corso dell’assemblea sarà letto un messaggio ai partecipanti del Partito Comunista Indiano maoista.
Non abbiamo niente in contrario che l’iniziativa veda tra i relatori altri compagni e altre realtà organizzate, purchè naturalmente non abbiano una opinione negativa della GP in India.
Se volete organizzare tale iniziativa, fatecelo sapere perchè naturalmente dobbiamo fare un calendario nazionale.
In attesa i nostri saluti antimperialisti.

Comitato internazionale di sostegno alla guerra popolare in India
csgpindia@gmail.com
11 dicembre 2011

I maoisti si espandono in nuove aree strategiche

Questo articolo è tratto dal Times of India. Come sempre gli articoli riportati dai mezzi di comunicazione di massa borghesi danno una visione “governativa” degli eventi della guerra popolare in corso, ma nel voler raccontare a modo loro spesso in maniera “trionfalistica” questi avvenimenti, nel tentativo costante di “conquistare l’opinione pubblica”, dicono molto più di quel vorrebbero.
Basta comunque seguire il ritmo degli articoli sui loro siti online per rendersi conto di come sia gigantesca l’attività dei maoisti.
Una di queste notizie flash dice: “Ministro degli Interni: Ci sono 24 organizzazioni naxalite nel paese. Il PCI(Maoista) è la più grande e la più forte tra queste”.

***

I maoisti guardando alle aree commerciali dell'India occidentale

Nuova Delhi: 14 dicembre 2011

Dopo aver subito alcuni rovesci nelle loro roccaforti, il PCI (Maoista) ha costituito un “Comitato del corridoio d'oro” per costruire la sua base nelle aree industriali, finora non toccate, del Gujarat e Maharashtra, che si estendono da Pune ad Ahmedabad, compresi gli hub commerciali come Mumbai, Nashik, Surat e Vadodara.

Inoltre gli Ultras Rossi hanno pianificato di espandere il loro movimento nei distretti di Nagpur, Wardha, Bhandara e Yavatmal del Maharashtra, in aggiunta alle loro basi esistenti in Gadchiroli, Ghonda e Chandrapur.

Il piano dei Maoisti, quello di fare incursione in queste aree inesplorate, è stato divulgato dal ministero dell’Interno, in risposta ad una domanda in Parlamento martedì scorso. Il ministero ha informato il Lok Sabha [assemblea] che solo nel Maharashtra ci sono stati 221 morti in scontri con naxaliti dal 2008 fino al novembre 2011. Lo Stato ha segnalato più morti (51) quest'anno, rispetto al 2010, quando c’erano stati 45 omicidi nella violenza rossa.

Le agenzie di sicurezza avevano avuto modo di conoscere prima il piano dei maoisti di istituire un altro teatro della loro attività attraverso il 'Comitato del Corridoio d'Oro' dopo aver arrestato un certo numero di Ultras nel Maharashtra negli ultimi 6 mesi, compreso il primo gruppo di 10 maoisti maoisti - tutti appartenenti al Bengala occidentale - a Pune in maggio. Tutti gli ultras lavoravano come operai precari in diverse unità industriali.

Gli interrogatori e gli arresti successivi di molti altri maoisti ci hanno dato un sacco di dettagli sul piano degli Ultras di creare le loro basi nelle aree industriali del Gujarat e del Maharashtra", ha detto un funzionario.

Sebbene il PCI (Maoista) aveva previsto di istituire il "Comitato del Corridoio d'oro” nel febbraio 2008, esso ha preso forma solo di recente quando l'Unità urbana degli Ultras rossi ha iniziato a reclutare quadri in diverse città dei due Stati - soprattutto tra coloro che lavorano in varie unità industriali.

L’India occidentale è diventata una delle otto aree strategiche per l’attività maoista. Stabilire basi organizzative nel nord-est dell'India è ancora un’altra 'nuova' area strategica, dove hanno forgiato rapporti con gruppi di insorti per aiutarli nei loro problemi militari.

In risposta a un'altra domanda posta durante il Lok Sabha, il ministro ha detto che il PCI (Maoista) ha sviluppato "stretti legami fraterni con gruppi di insorti del nord-est come il Fronte popolare rivoluzionario (FPR) e Esercito Popolare di Liberazione (EPL) del Manipur. Entrambe le organizzazioni hanno concordato sulla reciproca cooperazione nei settori della formazione, del finanziamento e della fornitura di armi e munizioni ".
Riferendosi all’agenda dei maoisti nel nord-est, il ministro ha dichiarato: "Il Comitato Dirigente dell'Alto Assam (CDAA) del PCI (Maoista) è attualmente operante in Assam e Arunachal Pradesh ed è stato coinvolto in episodi di saccheggio di armi ed estorsioni degli abitanti dei villaggi locali.

Affermando che il CDAA è anche impegnato nel reclutamento e nell’addestramento di quadri per l’organizzazione nell’Assam e che questi quadri sono stati utilizzati nell’estesa propaganda contro la mega diga dell’Assam, il ministro ha dichiarato: "In questo scenario, il confine Assam-Arunachal è emerso come un altro teatro dell’attività maoista. L'organizzazione sta inoltre stabilendo canali separati nel nord-est, in particolare nel Nagaland, per l'acquisizione di munizioni."

domenica 18 dicembre 2011

All'improvviso arriva Arundhati, Un'altra intensa e bella intervista ad Arundhati Roy


All'improvviso arriva Arundhati
INCONTRI MILITANTI

La scusa per intervistare l'attivista più rumorosa di tutta l'India è il suo ultimo saggio, In marcia con i ribelli. Quello che scopriamo è che Arundhati Roy, di persona, è ancora più appassionata di come scrive. Quasi furiosa. Contro il nucleare, gli interessi delle corporation, "le élite che non capiscono e arraffano quello che possono". Ma più di tutti, contro il suo Paese

di Mara Accettura

Arundhati Roy non dà interviste". "Ne fa solo una, ma non con voi". "Forse ne fa un'altra". "Non riusciamo a contattarla". "Ci spiace, ha cambiato idea". Dopo un tira e molla di due mesi ci siamo messi l'anima in pace. Poi, all'improvviso, la risposta si è materializzata come un coniglio uscito dal cappello. L'attivista più rumorosa di tutta l'India, che nel 97 vinse il Booker Prize con Il dio delle piccole cose, oggi impegnata contro il programma nucleare, la corruzione dello stato, la costruzione delle dighe, gli interessi delle corporation e tutto quello che ha a che fare con una globalizzazione violenta ha detto sì. Ed è venuta a casa mia. Che ansia. Avevo preparato dei biscotti, rigorosamente biologici (che non ha toccato) per non essere colta in fallo, e mi sono premurata di nascondere dal terrazzo lo stendibiancheria aperto, e la lettiera dei gatti.

A 50 anni Arundhati potrebbe ancora essere scambiata per una donna di 30: bellissima con la sua voce sottile, l'erre blesa e lo sguardo infuocato. Non si fa fatica a credere che un personaggio così contestato possa riempire le piazze, non solo perché parla con competenza ma perché trasuda coraggio e passione. Il suo nuovo libro In marcia con i ribelli (uscirà a febbraio per Guanda) è una raccolta di saggi di cui quello che dà il titolo al libro è un bellissimo reportage che racconta tre settimane nella foresta di Chhattisgarh in compagnia dei ribelli maoisti. Molti si chiedono perché dal Dio delle piccole cose, libro che ha venduto 6 milioni di copie nel mondo, lei non è più tornata a scrivere fiction. "Chi legge i miei saggi di politica sa perché. C'è un'urgenza rispetto a quello che accade da cui è difficile distogliere lo sguardo. Quando ho finito Il dio delle piccole cose mi sono resa conto che durante tutta la lavorazione del libro il paesaggio dell'India era cambiato in modo drammatico e brutale. A quel punto ho potuto sfruttare l'attenzione che si era venuta a creare per intervenire con dei saggi". Ma fiction non implica necessariamente distogliere lo sguardo. "Lo è a causa del tempo. I saggi che compongono questo libro sono apparsi in un tempo particolare e in un clima particolare per denunciare l'orrore del presente. Scrivo cose come "è stato chiamato l'esercito, i villaggi sono stati bruciati, gli abitanti inseguiti"".

Abbiamo letto che lei sta lavorando anche a un romanzo. "È vero, ma continuo a interrompermi. Sembra facile, ma come fai quando ti siedi, inizi a scrivere e all'improvviso qualcuno ti lascia un biglietto sotto la porta invitandoti ad andare nella foresta a marciare con i guerriglieri maoisti... Come faccio a dire di no? È affascinante, favoloso, l'esperienza di una vita e la fiction diventa quello che fanno i guerriglieri. Nelle scuole di scrittura creativa ti insegnano a scrivere ma non vivi la vita. E devi vivere per capire, altrimenti diventi come molti scrittori indiani che scrivono in inglese e sono pure famosi ma non sanno niente di quello che accade "sul terreno"". Quanto tempo ha passato nella giungla? "Due settimane e mezzo. Camminare con loro era bellissimo. E una volta lì dentro non è pericoloso. Il pericolo maggiore è entrare e uscire". Ma cos'ha in comune con i maoisti? "Non sono affatto maoista, anche se appartengo alla storia del movimento comunista in India. Il 99% dei maoisti però è composto da indigeni che stanno lottando per la sopravvivenza contro le forze armate. Vivono in modo primitivo, sono sotto assedio ma sono i depositari di un'antica saggezza che questa guerra sta per distruggere: la sostenibilità dell'ambiente". Quando pensiamo all'India e alla sua folle corsa verso il capitalismo non possiamo fare a meno di domandarci: ma non si rendono conto che qui stiamo collassando? "Le élites arraffano quello che possono, non capiscono che quel modello sta crollando. È anche un problema inerente alle democrazie, dove si pensa sempre di 5 anni in 5 anni. Gli esseri umani non sono animali che vivono solo nel presente, né profeti che predicono il futuro. Non riescono a pensare sul lungo termine".

Quello che sorprende è che lei non crede nella non violenza e anzi è molto critica del metodo gandhiano. Può chiarire perché? "Dieci anni fa ho scritto un articolo col titolo Ahimsa (Non violenza) in lode del movimento contro le dighe. Ma negli ultimi anni ho visto il governo indurirsi, la polizia diventare più violenta, l'estrazione di ferro e bauxite più predatoria. Trovo piuttosto discutibile che la gente osservi uno stato diventare sempre più violento e dica ai più poveri "Non dovete essere violenti, dovete essere gandhiani", ma se migliaia di poliziotti circondano la tua casa nel villaggio per bruciarla, come ti comporti? Fai lo sciopero della fame? E chi ti guarda? Il movimento gandhiano ha a che fare con la politica della celebrity: devi essere una celebrity per dire "Mi lascio morire di fame". Solo allora la classe media dirà: "No, per favore non farlo". Ma se sei un povero di cui non frega niente a nessuno e stai già morendo di fame? La non violenza gandhiana è una forma di teatro politico che può essere molto efficace se hai l'attenzione dei media, della middle class, qualcuno che si dispiace per te. Ma alla gente non frega nulla dei poveri, al massimo le piace che qualcuno come Madre Teresa faccia qualcosa per loro, così si sentono buoni". Eppure lei attrae l'attenzione di folle enormi. Si sente una celebrità? "Alla gente piacerebbe trasformarmi in una specie di vip che appoggia una causa esattamente come ti venderebbe delle scarpe da sera. Come le rockstar che cantano per l'Africa. Ma io ho uno sguardo politico sulle cose e non sono una benevola star del cinema amata da tutti. Se qualcuno mi tratta da tale lo ignoro".

In un commento a una sua intervista online un lettore diceva "Oh sì, sappiamo che cosa sta cercando da anni. Il grande premio...". "Quale?" Il Nobel. "Ahahahahahhah! Noooooooo. Un Nobel è l'ultima cosa che mi interessa. L'ha vinto anche Kissinger. Non mi piacciono i premi. Che ci fai? Telefoni a tua madre per dirglielo? Ci vai a letto la sera? In India la gente è ossessionata dai premi, se accendi la tv c'è sempre qualcuno che vince qualcosa e tutti applaudono, è la fantasia della classe media. Ha senso darli a uno sconosciuto, per chi è già famoso, invece, che senso ha?". Che significa avere successo? "Quando ero bambina avevo uno zio pazzo che ha cambiato il mio modo di pensare. Avevo 3 anni, era il mio compleanno. Tutti mi dicevano che dovevo studiare duro ed essere la prima della classe. Lui mi mostrò una collanina e mi chiese: "La vuoi?". Dissi di sì. E lui: "Te la darò se fallisci". Mi fece riflettere. Il successo è molto meno interessante del fallimento. E avere successo in un mondo di cui sono critica non è semplice. Tutto quello che faccio non è solo per me, e il successo mi permette di dire quello che voglio, ma allo stesso tempo mi espone di più alle critiche. Chi dice "il suo scopo è vincere un premio" non capisce la furia e l'amore per le cose che sto cercando di proteggere". Ci piace la lezione di suo zio sul fallimento e sulle aspettative. "La paura di fallire è minore della pressione delle aspettative, per esempio quella di scrivere su richiesta su quello che sta per essere impiccato o la costruzione di un'altra diga... Se fallisci... Se stai scrivendo un romanzo le chance di fallire sono molto alte. Puoi farlo solo sapendo che puoi fallire, altrimenti non stai sperimentando. Io scrivo perché devo, perché sarebbe troppo umiliante non farlo".

Lei, che ha una vita molto libera, rimpiange di non aver avuto figli? "Per niente. Mi sono presa cura di molti bambini per tutta la vita. Ho iniziato a 5 anni, accudivo quelli di 4 nella scuola fondata da mia madre. Quando ho compiuto 16 anni non ne potevo più. Non volevo vedere più bambini in vita mia, poi da adulta mi sono toccati i figli del mio partner (il regista Pradip Krishen, con cui non convive, ndr). Il fatto è che so che il mio attivismo richiede una certa libertà e non vorrei che qualcuno soffrisse se mi succedesse qualcosa. Soprattutto dei bambini. A volte penso di vivere la mia vita a ritroso, dopo un'infanzia così responsabilizzante, voglio essere sempre più leggera". Che cosa pensa di come i nostri media parlano dell'India? "È curioso, perché quando è scoppiata la cosiddetta "primavera araba" è stata ripresa ovunque. In Kashmir sono scese in piazza 100mila persone negli ultimi tre anni, affrontando carri armati, polizia. Ci sono stati un sacco di morti e nessuno ha parlato di "primavera del Kashmir". Il Kashmir è sotto la più densa occupazione militare del mondo: 700mila soldati in quella piccola valle. Gli Stati Uniti ne hanno mandati 165mila per attaccare l'Iraq! Ma nessuno ne parla. Per forza, l'India è la destinazione ideale della finanza internazionale e quindi devi scrivere di percentuale di crescita, mica del fatto che ci sono 800 milioni di persone che vivono con meno di 30 centesimi al giorno! O del fatto che ci sono più poveri di quelli dei 7 più poveri stati africani messi assieme. Si parla della vita spirituale dell'India, non del fatto che è un paese molto violento con le donne e i bambini e che la classe media è assetata di sangue". Tempo fa abbiamo pubblicato un'intervista con Siddhartha Deb, l'autore di The Beautiful and the Damned, sull'ascesa della nuova middle class indiana, in cui sosteneva che noi pensiamo che l'India sia una democrazia, in realtà in molte cose è più simile alla Cina. "No. È difficile fare questo tipo di paragoni perché la Cina ha una sua storia che è unica ed è molto diversa da quella dell'India. C'è stata una rivoluzione dove sono morte milioni di persone ma alla fine ha educato e sfamato il suo popolo e adesso sta cercando di unire capitalismo economico e socialismo, nel bene e nel male. Il 90% della popolazione è cinese e parla la stessa lingua. L'India non ha mai avuto una rivoluzione e nemmeno un'idea di uguaglianza sociale. Mai. Ha una società gerarchica e ineguale anche grazie alla cultura induista che è piuttosto brutale nel dividere le persone. Abbiamo una élite secolare democratica ma la democrazia è solo a suo uso e consumo. Inoltre la Cina zittisce i suoi media mentre in India i media fanno un chiasso enorme, ma quel chiasso serve solo a nascondere un grandissimo silenzio. No, non le comparerei così facilmente".

In uno dei saggi sua madre dice: "L'India ha bisogno di una rivoluzione". Cosa intende dire? Sua madre Mary Roy è una rivoluzionaria? "Mia madre non è una rivoluzionaria, è una persona fantastica e interessante ma di certo non intende nulla che abbia a che fare col comunismo o con il marxismo. Ci sono molte cose rivoluzionarie intorno a lei e una di queste è il diritto di essere matta (ride). È una cosa importante e mi delizia all'infinito. Adoro l'idea di una donna che via via si permette di essere come le pare. Io e mia madre abbiamo una relazione complicata ma condividiamo quell'approccio furioso alle cose che ci accadono intorno, quel desiderio di capovolgere il mondo e sviscerare tutte le contraddizioni del nostro Paese". Una volta ha detto che sua mamma potrebbe essere scappata da un set di Fellini. Eppure ha fondato una scuola in Kerala, sembra una persona coi piedi per terra... "Ahahahahahahah! È una che funziona bene, ma totalmente a suo modo. Una volta ero in Sudafrica con un amico di lì. A un certo punto durante il viaggio mi ha detto: "Scusa, devo fermarmi un attimo a casa, ma tu aspettami in macchina perché mia madre è totalmente imprevedibile. E io gli ho risposto: "Fa per caso cose tipo stendersi nuda in una vasca nel cortile mentre una segretaria le spunta l'unghia dell'alluce e l'altra scrive sotto dettatura una lettera furibonda al comune? Mia madre è così". Lei dice che è nata femminista. Che significa? "I miei genitori si sono separati quando avevo 2 anni. Non ho mai saputo chi fosse mio padre, se esisteva veramente o se mi raccontavano balle. Sono cresciuta in un ambiente familiare non tradizionale e mia mamma non ha mai fatto assolutamente la parte della vittima bisognosa di un marito. Era autoritaria e potente. Ho capito da subito che dovevamo badare a noi stesse e che poteva anche essere divertente. Poi a 16 anni, dopo una serie di conflitti, sono andata via di casa per vivere a Delhi. Mi sentivo onnipotente. I testi femministi e quel tipo di linguaggio sono arrivati molto dopo. Fino ad allora non ero cosciente né di me né dei danni della società patriarcale indiana. Vivevo per conto mio, mai ferma in un posto". Lei si batte per l'ambientalismo. Che cosa significa nella vita di tutti i giorni? Fa delle scelte particolari? È vegetariana? "Non credo nelle buone intenzioni che salvano il mondo: portano a uno stile di vita da boutique esclusiva. In India la gente non può permettersi frutta biologica o medicine omeopatiche e io non sono una santa gandhiana che cerca di scegliere le cose giuste ma una peccatrice che fa quel che può. Sono al 90 per cento vegetariana - a parte un po' di pesce - ma non una fanatica di quella ideologia, perché il vegetarianesimo è comunque molto contestato. I bramini sono vegetariani, gli intoccabili mangiano la carne e anche questo è usato contro di loro. Certo il modo in cui si allevano i pesci e i bovini è assurdo. Mangio molto poco in generale. Ma non spreco tempo a pensarci, non posso passare la vita a cercare di diventare pura". Molti pensano che lei difenda cause perse. Da dove le viene questa grande empatia per gli oppressi e i perdenti? "La mia è una battaglia che cerca di ridefinire l'idea stessa di civilizzazione, la natura del potere, le decisioni che vengono prese dall'alto. Non è esatto dire che provo simpatia per i poveri, è che non mi sento separata da loro. E non è esatto parlare di perdenti, non definirei così gli indigeni della giungla, per esempio. Sono solo le prime vittime di un processo che ci distruggerà tutti quanti. In questo senso sì, siamo tutti dei perdenti". Lei è stata spesso minacciata e incarcerata. Teme per la sua vita? "No. Cerco di non rischiare inutilmente e di non diventare paranoica, non posso vivere barricata, mi mancherebbe l'ossigeno per pensare. Mi proteggo, certo, e la maniera migliore per farlo, come dicono i guru, è essere imprevedibile. E comunque c'è gente che corre molti più pericoli di me". In questa grande battaglia si sente sola? "No, perché quello che dico viene dal cuore della folla. Possono criticarmi, insultarmi, offendermi, ma sento la solidarietà di milioni di persone".

La repubblica D – 17 dicembre 2011

mercoledì 14 dicembre 2011

I Think Tank Militari indiani studiano la forza, la resilienza e l’"arma segreta" dei maoisti… le masse

I mass media indiani, che sono prevalentemente al servizio delle forze reazionarie e che promuovono lealmente le storie confuse e preconfezionate della polizia e dei militari – abitualmente raccontano storie terrificanti sui maoisti, e di come i maoisti sono talmente inferiori che sono quasi completamente collassati. Tale propaganda è chiaramente mirata a screditare la crescita (e variegata) opposizione politica e il supporto alle forze popolari rivoluzionarie. Ma lo Stato indiano non crede nemmeno alla propria campagna di propaganda. E quindi commissiona alle sue agenzie intellettuali, i cosiddetti think tank, valutazioni sobrie e realistiche della crescente forza e percorso strategico dei maoisti (per informare i suoi generali e coloro che pianificano la contro-insurrezione militare). Tale è la natura di questo rapporto. - Frontlines ndr.
--------------

Esercito Guerrigliero Popolare di Liberazione Maoista
P.V. Ramana , Istituto di Studi e Analisi per la Difesa
12 dicembre 2011

L’Esercito Guerrigliero Popolare di Liberazione (PLGA) dei Naxaliti del Partito Comunista dell'India (Maoista) [PCI (Maoista) in breve], ha segnato il suo 11° anniversario conclusosi il 5 dicembre 2011. I ribelli si sono dati ad una serie di violenze bruciando edifici governativi, scuole e ferrovie in vari luoghi. Hanno anche attaccato due stazioni di polizia - Dhivra e Tandwa in Bihar, entrambi i quali sono stati respinti con successo.

Questa annuale, settimana di commemorazione è caduta nel periodo immediatamente successivo all'uccisione di Mallojula Koteswara Rao alias Kishanji in uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza, il 24 novembre 2011, nell'area della foresta Burisole, distretto di West Midnapore, nel Bengala occidentale. Inoltre, i maoisti hanno indetto uno sciopero generale, con limitato successo, nelle loro roccaforti in vari Stati il 4 e il 5 dicembre per protestare contro l'uccisione di Kishanji.

Il PLGA è stato fondato il 2 dicembre 2000, originariamente come Esercito Guerrigliero del Popolo (PGA), dall'allora Partito comunista indiano-marxista-leninista (Guerra Popolare), PW in breve, e popolarmente conosciuto come PWG. Il giorno di fondazione segna anche il primo anniversario dell'uccisione in uno scontro di tre membri del Comitato Centrale dell’allora PW, Nalla Adi Reddy, Yerramreddy Santosh Reddy e Seelam Naresh nella zona della foresta di Koyyuru, distretto di Karimnagar. A seguito della fusione del PW e del Centro comunista maoista dell'India (MCCI), il 21 settembre 2004, il PGA è stato ribattezzato PLGA.

Al momento del lancio del PLGA, Nambala Keasava Rao alias Basava Raju, che si crede possa essere il capo di fatto della macchina militare maoista, ha detto che era nato per distruggere "il dominio dell'imperialismo, del feudalesimo, del capitalismo burocratico compradore, e di impadronirsi del potere politico attraverso la creazione di un nuovo stato democratico, come primo passo nel percorso verso il socialismo." La sua bandiera indica la volontà di rovesciare lo stato attraverso la forza delle armi. C’è una falce e martello attraversati da un fucile.

Inoltre, alla sua fondazione, il segretario generale del PCI (Maoista), Muppala Lakshmana Rao alias Ganapathy, che era anche il segretario generale di PW, ha dichiarato: "Il PGA deve fondersi con le masse e diventare una parte della loro vita e delle loro aspirazioni. In questo modo, il PGA crescerà e si doterà degli strumenti per affrontare gli attacchi da più fronti da parte del governo ..." In effetti, questo è in consonanza con quello che Mao Tse Tung ha detto una volta: "... tutti i problemi pratici nella vita quotidiana delle masse devono pretendere la nostra attenzione. Se prestiamo attenzione a questi problemi, li risolviamo e soddisfiamo le esigenze delle masse, possiamo davvero diventare organizzatori del benessere delle masse, ed esse veramente si raccoglieranno intorno a noi e ci daranno il loro caloroso sostegno ..." (1) Alla fine, in quanto la base di massa del PLGA si espande per includere varie sezioni della società, i maoisti sperano di trasformare il PLGA in PLA.

Il PLGA è costituito da tre tipi di forze, vale a dire, forza primaria (plotoni), forza secondaria (squadroni della guerriglia) e la forza di base (milizia popolare). La milizia popolare è composta di persone che hanno altre vocazioni nella vita e cui viene impartito un rudimentale addestramento militare per appena una quindicina di giorni. Commentando il significato della milizia popolare nello schema maoista, un membro del comitato centrale aveva questo da dire: "la milizia del popolo è alla base stessa del PGA. La lotta armata non può essere avanzata se la milizia popolare non viene costruita su grande scala e senza partecipazione di massa".

In realtà, la strategia operativa del PLGA è stata riassunta da Azad, l’allora portavoce del PCI (Maoista), in un comunicato stampa emesso il 14 novembre 2005, con le seguenti parole: "... alle ben attrezzate e ben addestrate, e numericamente superiori forze [di sicurezza] possono essere inferti colpi pesanti da una forza armata numericamente più debole ma decisa, senza paura e politicamente motivata del popolo attraverso il monitoraggio concreto dei punti deboli della forza nemica, una pianificazione meticolosa ed esecuzione efficace, basata sul principio di attaccare il nemico attraverso la sorpresa e la grande rapidità." Così, la milizia del popolo, ha avuto un ruolo importante, e ha partecipato ad un gran numero - a centinaia - a tutti gli attacchi sincronizzati lanciati dai ribelli a partire dal 2004. Tali attacchi includono:

• Raid di Koraput, Orissa, 6 febbraio 2004, in cui è stato svuotata l'armeria che conteneva 528 armi.
• Raid di Madhuban, Bihar, 23 giugno 2005.
• Centro di addestramento della centrale di polizia di Giridih, Jharkhand, 11 novembre 2005, in cui sono state saccheggiate 280 armi.
• Attacco alla prigione di Jehanabad, Bihar, 13 novembre 2005, durante la quale oltre 900 prigionieri, tra cui quadri e leader maoisti, sono fuggiti dalla prigione.
• Raid a R. Udayagiri, Orissa, 26 marzo 2006, in cui la stazione di polizia è stata travolta e sono stati sequestrati 17 Fucili.
• Raid al blocco Riga, distretto di Sitamarhi, Bihar, 31 marzo 2007.
• Raid Nayagarh Armeria, Orissa, 15 febbraio 2008, in cui 1.100 armi – compreso pistole, fucili di diverso calibro e mitragliatori e 200.000 munizioni sono stati saccheggiati.

Inoltre, come ha riferito all'autore di questa intervista nel 2007 l'ex Soprintendente di polizia (SSP) di Jagdalpur, nella regione del Bastar, nel sud di Chhattisgarh: "la milizia popolare ha acquisito le competenze necessarie per produrre e posare mine, senza alcuna guida o supervisione da parte delle squadre armate metropolitane". Secondo una stima, la forza della milizia popolare, solo nella regione di Bastar - che comprende cinque distretti di polizia - è di 30.000!

Perciò, la macchina militare maoista ha acquisito una certa versatilità e letalità. Le forze di sicurezza avrebbero, quindi, necessità di possedere e mostrare immense capacità per combattere militarmente i maoisti.

(1). Dichiarazione conclusiva di Mao Zedong fatta al II Congresso Nazionale della Repubblica Sovietica Cinese, Provincia Juichin Kiangsi, 27 gennaio 1934, intitolata: "Occuparsi del benessere delle Masse, prestare attenzione ai metodi di lavoro", Opere scelte di Mao Tse-Tung, vol. I, Londra, Lawrence e Wishart, 1954, pp.147-152.

tratto da: http://revolutionaryfrontlines.wordpress.com/

mercoledì 7 dicembre 2011

FRA MAOISTI E SUPERMARKET

La stampa borghese italiana si occupa rarissimamente delle guerre popolari in generale, riportiamo come eccezione, quindi, il seguente articolo del giornale "Il manifesto" di oggi, che nel migliore dei casi cerca da un lato di essere neutrale dall'altro prova sempre a far passare il concetto di "popolazioni prese tra due fuochi".

*****

Reportage
India – Viaggio nello stato nord-occidentale di Jharkhand, luogo della giungla, risarie, miniere e popolazione nativa, dove infuria la guerra strisciante fra gruppi armati comunisti e unità anti-guerriglia

Fra maoisti e supermarket
Marina Forti

CHAIBASA (INDIA)

Una sorta di coprifuoco è in corso in un'ampia regione del centro-nord dell'India. E' un coprifuoco ufficioso, ma non meno reale, tanto che è stato annunciato dai giornali: il 4 e 5 dicembre il Partito comunista (maoista) indiano, illegale, ha proclamato un bandh (sciopero) per onorare la morte di Koteswar Rao, alias Kishenji, membro di spicco del suo Politburo, ucciso dalle forze di sicurezza interna la scorsa settimana. Lo «sciopero» significa in pratica che nessuno si azzarda a mettersi in viaggio sulle strade extraurbane dove il movimento maoista è presente: come in questa provincia dello stato di Jharkhand, nel cuore di una delle più ricche zone minerarie dell'India, dove il paesaggio di risaie, foreste e villaggi è stravolto da grandi miniere a cielo aperto: qui sabato all'imbrunire sembrava appunto che ci fosse il coprifuoco. O come le foreste del confinante stato di Chhattisgarh, più a sud, dove nell'aprile 2010 i maoisti hanno ucciso in un attacco oltre 70 agenti delle forze paramilitari, segnando una escalation nel conflitto che serpeggia da anni in queste regioni di foreste, miniere e popolazioni «tribali», come si usa dire qui - gli adivasi, «abitanti originari» dell'India. O anche nella Jungle Mahal al confine tra Bengala occidentale e Jharkhand: più che «giungla» sono macchie di boscaglia e risaie, da tempo è considerate roccaforte della guerriglia maoista. E' qui che il 24 novembre è stato ritrovato il corpo di Kishenji, l'uomo più ricercato da molto tempo: 50 anni, negli anni '80 aveva fondato il People's War Group, «gruppo della guerra del popolo», nel suo stato originario, l'Andhra Pradesh. A lui è accreditato di aver poi unificato diversi gruppi e fazioni nel Partito comunista maoista, dandogli una direzione politico-militare con una certa capacità mediatica - i giornali qui ricordano sue conferenze stampa di notte nelle foreste, con tanto di telecamere e coreografia di kalashnikov.

Il dirigente maoista sarebbe stato ucciso in un encounter, o scontro a fuoco, durante una battaglia. O almeno così dice la polizia: la famiglia e i compagni del defunto dicono invece che Kishenji è stato arrestato grazie a una soffiata, torturato e ucciso a sangue freddo. In ogni caso, la foto del leader maoista crivellato di colpi ha conteso i titoli d'apertura all'ultima polemica politica nazionale, quella sulla decisione del governo centrale di New Delhi di aprire il settore della grande distribuzione a investimenti stranieri: le note catene internazionali, i Wal Mart e i Carrefour, potranno presto aprire i loro supermarket nelle città indiane; in un paese dove il supermercato è ancora una rarità per le élites urbane, i commercianti nazionali protestano unanimi e alcuni partiti sia dell'opposizione che della coalizione di maggioranza cavalcano la protesta. La convivenza (sulle prime pagine) tra supermercati e guerriglia maoista può sembrare bizzarra, ma in fondo ben rappresenta l'India di oggi: la povertà delle regioni rurali e la modernità delle metropoli, i villaggi senza corrente elettrica accanto a acciaierie o poli di industria hi-tech. Su un miliardo e 200 milioni di indiani si stima che il 42% viva con meno di 1 dollaro al giorno: altroché supermercato.

Vera o falsa, la sparatoria nella giungla ha probabilmente chiuso, per il momento, ogni remota possibilità di un dialogo politico tra i ribelli e lo stato.

In luglio infatti il governo del Bengala occidentale (lo stato che ha per capitale Calcutta) aveva incaricato un gruppo di «interlocutori» di avviare contatti con il Partito comunista maoista ed esplorare un possibile accordo di pace. La chief minister (capo del governo statale) Mamata Banerjee, insediata appena un mese prima, manteneva così una delle sue promesse elettorali: non è un segreto che ha stravinto le elezioni e messo fine a un pluridecennale governo delle sinistre in Bengala occidentale accettando il sostegno dei maoisti, al culmine di una serie di proteste popolari contro grandi progetti industriali e requisizioni di terre (si ricordi il caso di Singur e lo stabilimento automobilistico della Tata). Insomma: appena eletta, Mamata è andata in visita nella Jungle Mahal e ha chiesto al governo centrale di ritirare le forze speciali antiguerriglia che la presidiavano, come tutti i distretti di conflitto. I mediatori hanno avuto diversi incontri con i ribelli che il 30 settembre hanno sottoscritto una tregua - finita però quando hanno attaccato dei militanti del partito di governo. I ribelli d'altra parte accusano la polizia di non aver mai smesso di arrestare i loro compagni. Insomma: le operazioni delle forze paramilitari tra foreste e risaie sono ricominciate, con l'appoggio della signora Banerjee - applaudita in questo da tutto l'establishment dei media a Calcutta. E dopo l'uccisione di Kishenji i mediatori hanno rassegnato le dimissioni. Qualcosa di simile era successo nel 2004 quando il governo dell'Andhra Pradesh aveva avviato contatti con i ribelli, ma poi le forze paramilitari (che dipendono dal governo centrale) hanno ucciso i massimi dirigenti maoisti, ed è saltato tutto.

Ora la stampa indiana discute se le intenzioni della chief minister Banerjee fossero serie, se in ogni caso l'iniziativa del governo del Bengala occidentale fosse approvata da quello centrale a New Delhi, e se lo stesso partito maoista fosse davvero propenso al negoziati. E quale sia la strategia dei dirigenti di New Delhi: uno dei più autorevoli giornali in lingua inglese, The Hindu, ha scritto in un editoriale che la morte di Kishenji è certamente un colpo per il partito ribelle ma la realtà è che «prima e più che essere una minaccia alla sicurezza, l'insurrezione maoista è una questione politica che richiede risposte politiche». Non che il partito maoista abbia la rappresentanza esclusiva degli adivasi e degli oppressi - un ampio spettro di movimenti popolari è anzi insofferente al movimento armato, schiacciato tra questo e le forze di sicurezza.

Intanto però la tensione sale. Nei distretti di «conflitto» da parecchi giorni le forze paramilitari sono mobilitate - la Central reserve police force, Crpf, che dipende dal governo centrale, e i suoi corpi di élite con nomi esotici come Cobra. Nei borghi rurali come Chaibasa in Jharkhand vediamo grande dispiegamento di agenti armati di tutto punto. Nei villaggi del Jungle Mahal, dicono corrispondenti locali, sono ricomparse milizie di «auto-difesa» contro i maoisti (ne esistono diverse versioni in altri stati, usate dalle forze di sicurezza per fare il lavor sporco: dopo numerose denunce per le violenze commesse sulla popolazione civile, la Corte suprema indiana di recente le ha dichiarate illegittime).

Come prova di forza, lo «sciopero» non sembra riuscito - a parte l'attentato sabato contro un ministro statale in visita in un distretto minerario del Jharkhand, una mina ha mancato il ministro stesso ma ucciso 9 agenti di sicurezza, che si aggiungono ai 93 membri delle forze di sicurezza e 275 civili morti dall'inizio dell'anno in episodi legati all'insurrezione maoista - sono le ultime cifre date dal governo al parlamento indiano, il 30 novembre.

La calma forzata dei piccoli centri, il «coprifuoco» sulle strade rurali, i movimenti di truppe: tutto dice che la guerra strisciante nell'India rurale continua.

*****
INTERVISTE – Un incontro con padre Swami

«Le miniere fanno gola e cacciano gli indigeni»
Ma.Fo.
RANCHI (India)

«Finché non ci sarà giustizia sociale, questa sarà sempre una zona di conflitto»
Si chiama Bagaicha, parola che significa più o meno comunità, luogo comune. Sono alcune palazzine color mattone attorno ad aiuole e allo spazio circolare chiamato achra: nei villaggi indigeni di questa regione è dove la comunità si riunisce per discutere le decisioni comuni. Padre Stan Swami è l'anziano gesuita che ha dato vita a questo spazio di attivismo sociale alle porte di Ranchi, capitale del Jharkhand, uno degli stati di foreste e giacimenti minerari dell'India settentrionale considerato «area di conflitto» - nel senso della rivolta armata di ispirazione maoista. Di formazione giurista, Swami è una delle figure più impegnate nella difesa dei diritti umani in Jharkhand, qui fa consulenza legale e un attivo lavoro di informazione sui diritti delle popolazioni native.

Raggiungo la Bagaisha di Stan Swami nel primo giorno dello «sciopero» proclamato dai maoisti in questa regione rurale (vedi l'articolo in questa pagina, ndr) per chiedergli se, dopo l'uccisione del dirigente maoista Kishenji, vede possibilità di dialogo politico in questo conflitto strisciante. «Nell'immediato non vedo fine alla violenza, da nessuna delle due parti», risponde. I maoisti - spesso chiamati naxaliti, in ricordo della prima rivolta armata nelle campagne del Bengala occidentale oltre 40 anni fa - continuano ad attaccare «il nemico», polizia e paramilitari o rappresentanti dello stato; lo stato continua ad ammassare le forze paramilitari nelle regioni tribali. «Un giorno la classe dirigente del paese dovrà riconoscere che la forza militare non può mettere fine al conflitto. La realtà è che un flusso continuo di adivasi aderisce al movimento maoista perché non gli è lasciata scelta. Ci sono ben 800mila uomini delle forze paramilitari dispiegati nelle regioni adivasi attraverso 5 stati, una presenza schiacciante. La violenza esercitata sulle regioni rurali è inimmaginabile: la polizia e i paramilitari devastano i villaggi con la scusa di cercare i maoisti. Anche lo sfruttamento delle risorse naturali è impressionante. La leadership politica indiana si illude che sia possibile una soluzione militare, ma il conflitto non avrà fine senza andare alla radice: la questione della giustizia».

Stan Swami precisa che non sta parlando solo di legalità ma di giustizia sociale. «Negli ultimi 10 anni il governo del Jharkhand ha firmato oltre un centinaio di 'memorandum d'intesa' con aziende e gruppi industriali interessati ad aprire miniere e costruire industrie. In questi accordi non c'è la minima menzione alle persone che dovranno lasciare la terra, gente liquidata con l'equivalente di qualche migliaio di euro». Un centro di studi sociali legato ai gesuiti stima che un milione e mezzo di persone abbiano dovuto sfollare negli ultimi trent'anni e l'80% non sia stato risistemato e risarcito - su una popolazione totale di poco meno di 30 milioni (di cui il 27% adivasi e il 60% complessivo di «classi arretrate», come il censimento indiano definisce tribali, caste basse e fuoricasta). Nei decenni passati interi villaggi adivasi sono stati spostati. Poi però «sono sorti numerosi movimenti 'anti-displacement', contro la cacciata dalla terra», spiega Swami.

La rivolta maoista? Fino a una decina d'anni fa non era così rilevante, sostiene Swami. Poi è cominciata una escalation. «Qui ci sono giacimenti minerari e i gruppi industriali premono per investire. Con l'ossessione di crescita che c'è in India, nel 2009 il governo indiano ha cominciato a dire che 'il movimento maoista impedisce lo sviluppo della nazione'. Il vero scopo però non è combattere i maoisti, ma prendere il controllo della terra, ripulirla dagli abitanti nativi». Swami indica una cartina disegnata da una rete di avvocati per i diritti umani, indica per ogni distretto del Jharkhand le operazioni militari e i progetti industriali: e la coincidenza è prodigiosa. «I dati sono chiari: negli ultimi 5 anni, 550 giovani uomini e donne adivasi sono stati uccisi e 4500 sono stati arrestati».

Proprio nella regione di Saranda però ho sentito gli attivisti di piccoli gruppi di villaggio chiedersi perché i maoisti non facciano campagna contro l'espansione delle compagnie minerarie nelle regioni adivasi. «È vero. I maoisti non ostacolano gli imprenditori delle miniere, da cui invece estorcono denaro, protection money. Loro lo giustificano dicendo che devono sopravvivere e finanziare la lotta al fianco degli oppressi».

Il punto, insiste il gesuita, è la giustizia sociale. Alla vigilia dello «sciopero» maoista il ministro dello sviluppo rurale del governo di New Delhi, Jairam Ramesh, è andato nella foresta di Saranda («ripresa ai maoisti») a distribuire doni e titoli di proprietà della terra agli agricoltori adivasi. «Ma basta elargire qualche appezzamento di terra o regalare biciclette per dire che 'lo sviluppo avanza?' - tuona Swami - La legge sui diritti forestali del 2007 parla di accesso alle risorse in senso più complessivo. Sviluppo rurale significa avere accesso individuale e collettivo a terra, foreste, acqua. Questo significa vivere con dignità e rispetto di sé. La realtà è che l'alienazione dalle loro terre continua, con la forza o con l'inganno, aggirando le leggi».

Davanti alla spartana residenza di Swami c'è una stele con i nomi di eroi del Jharkhand, questo stato creato appena 10 anni fa: il primo è un leggendario eroe tribale e risale al 1880, l'ultimo è quello di suor Valsa John, uccisa due settimane fa, probabilmente da uomini delle mafie delle miniere contro cui si batteva: il gesuita la definisce «una martire degli oppressi».

giovedì 1 dicembre 2011

In risposta all’assassinio del compagno Kishanji continuano le azioni della guerriglia maoista.


I maoisti distruggono un edificio del governo locale e realizzano azioni di agitazione e propaganda

Circa 150 guerriglieri dell'Esercito Popolare di Liberazione maoista hanno fatto irruzione ieri nel Maharashtra occupando la gram panchayat (istituzione di autogoverno locale a livello di villaggio) e hanno bruciato l'edificio Armori Taluka (unità amministrativa), a circa 55 km da Gadchiroli, distretto del Maharashtra.

I dirigenti locali dicono che ormai “tutto è in mano ai maoisti… la polizia sembra aver perso completamente la battaglia”

I maoisti hanno attaccato per la seconda volta in 72 ore e incendiato i mobili e documenti in quattro sale, il segretario, il Sarpanch (dirigente dell’istituto di autogoverno livello) e una sala riunioni compresa. I guerriglieri hanno agito divisi in due squadre, mentre un incendio veniva appiccato alla sede panchayat, venivano eseguite altre azioni di agitazione e propaganda nel teatro locale del Maharashtra. I maoisti hanno preso il controllo del palcoscenico del teatro locale nel famoso teatro Jharipatti. Due donne maoiste armate sono salite sul palco e hanno preso possesso del sistema audio. Hanno gridato slogan in ricordo del martire, compagno Kishanji, e hanno fatto appello alle masse per partecipare al 'Bharat Bandh' (sciopero totale) per il 4 e 5 del mese di dicembre. Inoltre, i maoisti si stanno a commemorare l'anniversario dell’Esercito Popolare Guerrigliero di Liberazione (EPGL) tra il 2 e 9 dicembre.

http://articles.timesofindia.indiatimes.com/2011-11-30/nagpur/30458447_1_gadchiroli-naxals-panchayat-office

Dichiarazione del Partito Comunista dell'India (Maoista) sulla morte del compagno Kishanjii

India: Il leader del PCI (Maoista) Kishanji assassinato

28 novembre, 2011. Un mondo da conquistare News Service.

Mallojula Koteswara Rao, conosciuto anche come Kishenji, membro del Burò Politico del Partito Comunista dell'India (Maoista), è stato ucciso in una zona boschiva del Bengala occidentale il 24 novembre.

Le autorità hanno sostenuto che il compagno Rao è stato ucciso in uno scontro a fuoco durante un'operazione che ha coinvolto circa 900 truppe paramilitari e polizia di Stato, tra cui i commandos Cobra appositamente addestrati a combattere il movimento rivoluzionario guidato dai maoisti che ha base nelle aree rurali dell'India centrale e orientale. Una dichiarazione del partito rilasciata il giorno dopo diceva che era stato arrestato, torturato e ucciso.

Al funerale nella sua città natale, Peddapally, lo scrittore rivoluzionario P. Varavara Rao ha dato lettura alla seguente dichiarazione del Comitato centrale del partito.

Il 24 novembre 2011 rimarrà una giornata nera negli annali della storia del movimento rivoluzionario indiano. La cricca fascista al potere Sonia-Manmohan-Pranab-Chidambaram-Jairam Ramesh, che ha gridato a gran voce che PCI (Maoista) è "la più grande minaccia alla sicurezza interna", in collusione con il primo ministro del Bengala occidentale, Mamata Banerjee, ha ucciso il compagno Mallojula Koteswara Rao dopo averlo catturato vivo in una ben pianificata cospirazione. Questa cricca che aveva ucciso il compagno Azad, il portavoce del nostro partito, il 1° luglio 2010, ancora una volta ha buttato la sua rete e spento la sua sete di sangue. Mamata Banerjee, che aveva versato lacrime di coccodrillo sull’uccisione del compagno Azad prima di arrivare al potere, mentre metteva in atto la commedia delle trattative da un lato dopo aver assunto l'ufficio, ha ucciso un altro importante leader, il compagno Koteswara Rao e quindi ha messo a nudo la sua faccia antipopolare e fascista. Le agenzie di intelligence centrale e le agenzie di intelligence assassine del Bengala occidentale e dell’Andhra Pradesh, gli hanno dato la caccia con una ben pianificata cospirazione e lo hanno ucciso in modo vile in un'operazione congiunta e ora stanno diffondendo una storia inventata di scontro. Il segretario del ministero degli interni centrale, RK Singh, mentiva anche mentre diceva che non sapevano per certo chi è morto nello scontro, nello stesso istante ha annunciato che questo è un duro colpo per il movimento maoista. Così egli ha dato il via palesemente alla loro cospirazione che sta dietro questo omicidio. Il popolo oppresso manderà definitivamente nella tomba le classi dominanti sfruttatrici e i loro padroni imperialisti che sognano ad occhi aperti di poter spazzare via il partito maoista uccidendo i vertici del movimento rivoluzionario.

IL compagno Koteswara Rao, che è molto popolare come Prahlad, Ramji, Kishenji e Bimal all'interno del partito e tra le masse, è uno dei più importanti leader del movimento rivoluzionario indiano. Il guerriero instancabile che non ha mai riposto il suo fucile, mentre lottava per la liberazione delle masse oppresse nei trascorsi 37 anni e che ha dato la sua vita per il bene della ideologia in cui ha creduto, è nato nel 1954 a Peddapally città del distretto di Karimnagar nel nord Telangana, Andhra Pradesh. Cresciuto da suo padre, l’anziano Venkataiah, che era un combattente per la libertà e sua madre, Madhuramma, che è stata di vedute progressiste, Koteswara Rao si è nutrito di amore per il suo paese e le sue masse oppresse fin dall'infanzia. Nel 1969, aveva partecipato allo storico movimento separatista del Telangana mentre studiava presso la scuola superiore nella città di Peddapally. Si è unito al movimento rivoluzionario ispirato dalla gloriosa lotta dei movimenti Naxalbari e Srikakulam mentre studiava per la laurea presso il college SRR di Karimnagar. Ha iniziato a lavorare come membro attivo del partito dal 1974. Ha trascorso qualche tempo in prigione durante il periodo nero dell’emergenza. Dopo la fine del periodo di emergenza, ha iniziato a lavorare come organizzatore di partito nella suo distretto di Karimnagar. Ha risposto alla chiamata per la campagna del partito "Tornare ai villaggi" instaurando rapporti con i contadini. Era uno di quelli che hanno svolto un ruolo di primo piano nella ripresa del movimento contadino popolare conosciuto come "Jagityal Jaitrayatra" (Marcia della Vittoria di Jagityal) nel 1978. In questo periodo, è stato eletto membro del comitato distrettuale del comitato congiunto Adilabad-Karimnagar del CPI (ML). Nel 1979, quando questo comitato è stato diviso in due comitati di distretto è diventato il segretario della commissione distrettuale di Karimnagar. Ha partecipato alla 12a conferenza di partito dell’Andhra Pradesh (AP), è stato eletto al comitato di stato dell’AP e ha assunto la responsabilità come suo segretario.

Fino al 1985, come parte della direzione del comitato di stato dell’AP ha svolto un fondamentale ruolo nella diffusione del movimento in tutto lo stato e nello sviluppo del movimento del Nord Telangana, che stava avanzando nella prospettiva della costruzione della zona di guerriglia. Ha giocato un ruolo importante nell'espansione del movimento del Dandakaranya (DK) e nel suo sviluppo. È stato trasferito nel Dandakaranya nel 1986 assumendosi la responsabilità di membro del Comitato per la foresta. Ha guidato le squadre di guerriglia e popolari nelle aree Gadchiroli e Bastar del DK. Nel 1993 è stato cooptato come membro nel Comitato Organizzatore Centrale (COC).

Dal 1994 ha lavorato principalmente per diffondere e sviluppare il movimento rivoluzionario nell'India orientale e settentrionale tra cui il Bengala Occidentale. In particolare il suo ruolo nel riunire le forze rivoluzionarie che erano state disperse dopo la battuta d'arresto del movimento Naxalbari nel Bengala occidentale e nel far rivivere il movimento rivoluzionario è stato straordinario. Ha stretto un rapporto profondo con le masse oppresse del Bengala e i vari settori del campo rivoluzionario, ha imparato la lingua Bangla con determinazione e lasciato un segno indelebile nei cuori del popolo. Ha lavorato instancabilmente per raggiungere l'unità con vari gruppi rivoluzionari e nel rafforzamento del partito. Il compagno Koteswara Rao è stato eletto membro del Comitato Centrale (CC), della Conferenza Speciale di tutta l’India dell’ex PCI(ML) (Guerra Popolare) tenutasi nel 1995. Ha lottato per stabilire l'unione tra Guerra Popolare e il Partito dell'Unità nel 1998. Nel Congresso del Partito dell’ex PCI(ML) (GP) tenutosi nel 2001 è stato nuovamente eletto nel CC e del Politburo. Si è assunto la responsabilità di segretario del Consiglio regionale del Nord (CRN) e ha guidato i movimenti rivoluzionari negli stati del Bihar, Jharkhand, Bengala Occidentale, Delhi, Haryana e Punjab. Contemporaneamente ha svolto un ruolo chiave nei colloqui tra l’ex GP e l’MCCI [Maoist Communist Centre of India]. È stato membro del CC e del Politburo unificato formati dopo la fusione dei due partiti nel 2004 e ha lavorato come membro dell’Ufficio Regionale Orientale (URO). Si è concentrato principalmente sul movimento a livello statale del Bengala occidentale e ha continuato a fare da portavoce dell’URO.

Il compagno Koteswara Rao ha giocato un ruolo di primo piano nella gestione delle pubblicazioni di partito e nel campo della formazione politica all'interno del partito. Ha partecipato alla elaborazione di Kranti, Errajenda, Jung, Prabhat, Vanguard e altre riviste. Ha avuto un ruolo speciale da svolgere nella nascita di varie riviste rivoluzionarie del Bengala Occidentale. Ha scritto molti articoli teorici e politici in queste riviste. È stato membro della sottocommissione per l'Educazione politica (SCOEP) e ha svolto un ruolo di primo piano nell’insegnamento del marxismo-leninismo-maoismo tra i ranghi del partito. In tutta la storia del partito ha giocato un ruolo memorabile per l'espansione del movimento rivoluzionario, nell’arricchire i documenti di partito e nello sviluppo del movimento. Ha partecipato al Congresso di Unità-9° Congresso del partito tenutosi nel gennaio 2007, è stato eletto membro del CC ancora una volta e ha assunto le responsabilità di membro del Politburo e membro dell’URO.

L'orientamento politico dato dal compagno Koteswara Rao ai movimenti popolari di Singur e Nandigram che esplose dal 2007 contro le politiche antipopolari e filomultinazionali del governo socialfascista del CPM [Partito comunista marxista] nel Bengala Occidentale e in particolare nella gloriosa sollevazione della ribellione popolare di Lalgarh contro le atrocità della polizia è prominente. Ha condotto il comitato statale del Bengala occidentale e i ranghi del Partito nel guidare questi movimenti e d'altra parte ha anche condotto la propaganda attraverso i media con capacità d’iniziativa. Nel 2009, quando la cricca Chidambaram ha cercato di ingannare le classi medie in nome dei colloqui e del cessate il fuoco, ha lavorato in modo significativo per smascherarla. Egli ha fatto un enorme lavoro per mantenere alta l'importanza della guerra popolare e nel portare la politica rivoluzionaria alle grandi masse. Questo grande viaggio rivoluzionario che è andato avanti per quasi quattro decenni è arrivato alla fine improvvisa il 24 novembre 2011.

Amato Popolo! Democratici!

Condanniamo questo brutale omicidio. Si tratta del complotto delle classi dominanti per spazzare via la direzione rivoluzionaria e privare il popolo della giusta guida e direzione proletaria. È un fatto noto che il movimento maoista è il principale ostacolo per i grandi ladri e compradores che stanno accatastando milioni nelle banche svizzere vendendo per noccioline per la Jal, Giungla e Zameen, del paese agli squali imperialisti. La brutale offensiva su più fronti, a livello nazionale, chiamata Operazione Caccia verde degli ultimi due anni serve proprio a questo scopo. Questo assassinio a sangue freddo è parte di questo. È dovere dei patrioti e di coloro che amano la libertà del paese proteggere il movimento rivoluzionario e la sua leadership come la pupilla dei propri occhi. Non si tratta altro che di proteggere il futuro del paese e quello delle prossime generazioni.

Anche all'età di 57 anni, il compagno Koteswara Rao conduceva la dura vita di un guerrigliero come un giovane e aveva riempito i quadri e le persone di grande entusiasmo ovunque andasse. La sua vita dovrebbe particolarmente servire come una grande ispirazione per le giovani generazioni. Ha studiato e lavorato per ore senza riposo e viaggiava per grandi distanze. Dormiva pochissimo, conduceva una vita semplice ed è stato un gran lavoratore. Era solito unirsi facilmente con persone di ogni età e con persone provenienti da vari settori sociali e riempirli di entusiasmo rivoluzionario. Senza dubbio, il martirio del compagno Koteswara Rao è una grande perdita per il movimento rivoluzionario indiano. Ma il popolo del nostro Paese è molto grande. È il popolo e sono i movimenti popolari che hanno dato alla luce rivoluzionari coraggiosi e dediti come Koteswara Rao. Gli operai e i contadini e i rivoluzionari che hanno assorbito lo spirito rivoluzionario di Koteswara Rao dal Jagityal a Jungle Mahal e che si sono armati della fragranza rivoluzionaria che egli ha diffuso in tutto il paese condurranno sicuramente la Rivoluzione di Nuova Democrazia in India lungo il percorso della vittoria. Spazzeranno via gli imperialisti e i loro lacchè latifondisti e la borghesia burocratico-compradora e i loro rappresentanti come Sonia, Manmohan, Chidambaram e Mamata Banerjee.

Il nostro CC ha fatto appello alle masse del paese ad osservare una settimana di protesta dal 29 novembre al 5 dicembre e 48 ore di "Bharat Bandh" [sciopero totale] tra il 04-05 dicembre per protestare contro il brutale assassinio del compagno Koteswara Rao. Facciamo appello a che si tengano varie manifestazioni come riunioni, comizi, dharnas, vestire il badge nero, blocchi stradali ecc. per protestare contro questo omicidio. Chiediamo che i treni, strade, le istituzioni commerciali ed educative rimangano chiuse e che tutti i tipi di transazioni commerciali siano fermate come parte del "Bharat Bandh" del 4-5 dicembre. Ma abbiamo esonerato i servizi sanitari dal Bandh.

Firmato Abhay, portavoce, PCI (Maoista).