...se voi pensate che la rivolta maoista è confinata
nelle lontane zone del Bihar, Chhattisgarh e Jharkhand, è bene che cambiate
idea...
Le organizzazioni dei maoisti sono "infiltrate" nei sindacati e nelle organizzazioni operaie a New Delhi e nella regione capitale nazionale; anzi New Delhi stà emergendo come la maggiore base urbana della estrema sinistra maoista... nonostante le organizzazioni di Fronte del PCI maoista siano state messi fuorilegge, i loro militanti sono molto attivi in tutta la capitale.
In particolare sono attivi e si estendono nelle città operaie satelliti di New delhi come Gurgaon e Ghaziabad... esiste una attività pianificata con l'obiettivo di diventare sempre più parte delle associazioni operaie e di guidarle verso azioni sempre più dure e proteste violente.
Il fronte democratico rivoluzionario Revolutionary Democratic Front è penetrato in vari socialforum, organizzazioni sindacali e gruppi operai che lottano contro l'impoverimento sociale e li indirizza verso azioni violente contro la classe dominante, e non si tratta di gruppi studenteschi come quelli del CPI (M-L), la penetrazione dei maoisti è molto più larga e radicata clandestinamente nei settori operai e popolari.
E' stata lanciata con successo ad esempio una campagna contro 'la violenza di casta'.
E ora sono 11 i distretti di New Delhi in cui i maoisti agiscono... Central, South, New Delhi, North-West, North, South-West and North East.
Inoltre si estendono in stati come Punjab, Haryana and Rajasthan.
La loro azione comincia con distribuzione di volantini e materiale di propaganda marxista-leninista-maoista, ma prosegue con l'organizzazione di concrentramenti e infine in manifestazioni di lotta che diventano sempre più violente. La strategia maoista è di creare basi urbane in città... in particolare hanno giocato un ruolo importante nelle proteste degli operai della MARUTI nell'ultimo anno e spinto verso scioperi violenti di questi operai.
A questo va aggiunto la crescente penetrazione nel movimento anticorruzione guidato da Anna Hazare e nelle grandi proteste pubbliche del movimento delle donne dopo lo stupro di gruppo del 16 dicembre....
notizie uscite anche sulla stampa italiana
"Scontri violentissimi si stanno verificando in India, nello stabilimento di Manesar, a circa 50 chilometri da Nuova Delhi, del colosso Maruti Suzuki. I lavoratori stanno mettendo a ferro e fuoco la fabbrica, nella quale è stato appiccato un incendio di vaste dimensioni. Nel corso della rivolta è stato ucciso il direttore del personale, Avnish Kumar Dev, e sono rimasti feriti mille dirigenti oltre a nove poliziotti.
Versioni contrastanti. In un comunicato, la Maruti Suzuki, ha descritto Dev come un responsabile "profondamente coinvolto nelle cordiali relazioni industriali" e ha denunciato la violenza raccapricciante che non è giustificabile con problemi legati alle "relazioni industriali", ai salari o alle condizioni di lavoro. Secondo il Gruppo i disordini sono scoppiati mercoledì mattina, quando un dipendente avrebbe colpito con violenza un caporeparto. Successivamente i dipendenti armati di spranghe hanno poi colpito alcuni responsabili "alla testa, alle gambe e alla schiena, provocando emorragie e svenimenti".
Vertenza su salari e pensioni. Totalmente opposta la versione del sindacato dei lavoratori Ram Meher, secondo il quale sarebbe stato un supervisore a maltrattare un lavoratore, sospeso poi dopo la presentazione di una denuncia contro il superiore. Questo fatto avrebbe causato diversi attriti tra dirigenza e operai; mentre si tentava una risoluzione pacifica, la "società chiamava centinaia di buttafuori sul suo libro paga per attaccare i lavoratori e sottometterli". Alla radice del clima di forte tensione, tuttavia, ci sarebbero forti controversie tra la dirigenza della Maruti Suzuki e gli operai su pensioni e salari. Una vertenza che si protrae dall'anno scorso.
Le organizzazioni dei maoisti sono "infiltrate" nei sindacati e nelle organizzazioni operaie a New Delhi e nella regione capitale nazionale; anzi New Delhi stà emergendo come la maggiore base urbana della estrema sinistra maoista... nonostante le organizzazioni di Fronte del PCI maoista siano state messi fuorilegge, i loro militanti sono molto attivi in tutta la capitale.
In particolare sono attivi e si estendono nelle città operaie satelliti di New delhi come Gurgaon e Ghaziabad... esiste una attività pianificata con l'obiettivo di diventare sempre più parte delle associazioni operaie e di guidarle verso azioni sempre più dure e proteste violente.
Il fronte democratico rivoluzionario Revolutionary Democratic Front è penetrato in vari socialforum, organizzazioni sindacali e gruppi operai che lottano contro l'impoverimento sociale e li indirizza verso azioni violente contro la classe dominante, e non si tratta di gruppi studenteschi come quelli del CPI (M-L), la penetrazione dei maoisti è molto più larga e radicata clandestinamente nei settori operai e popolari.
E' stata lanciata con successo ad esempio una campagna contro 'la violenza di casta'.
E ora sono 11 i distretti di New Delhi in cui i maoisti agiscono... Central, South, New Delhi, North-West, North, South-West and North East.
Inoltre si estendono in stati come Punjab, Haryana and Rajasthan.
La loro azione comincia con distribuzione di volantini e materiale di propaganda marxista-leninista-maoista, ma prosegue con l'organizzazione di concrentramenti e infine in manifestazioni di lotta che diventano sempre più violente. La strategia maoista è di creare basi urbane in città... in particolare hanno giocato un ruolo importante nelle proteste degli operai della MARUTI nell'ultimo anno e spinto verso scioperi violenti di questi operai.
A questo va aggiunto la crescente penetrazione nel movimento anticorruzione guidato da Anna Hazare e nelle grandi proteste pubbliche del movimento delle donne dopo lo stupro di gruppo del 16 dicembre....
notizie uscite anche sulla stampa italiana
"Scontri violentissimi si stanno verificando in India, nello stabilimento di Manesar, a circa 50 chilometri da Nuova Delhi, del colosso Maruti Suzuki. I lavoratori stanno mettendo a ferro e fuoco la fabbrica, nella quale è stato appiccato un incendio di vaste dimensioni. Nel corso della rivolta è stato ucciso il direttore del personale, Avnish Kumar Dev, e sono rimasti feriti mille dirigenti oltre a nove poliziotti.
Versioni contrastanti. In un comunicato, la Maruti Suzuki, ha descritto Dev come un responsabile "profondamente coinvolto nelle cordiali relazioni industriali" e ha denunciato la violenza raccapricciante che non è giustificabile con problemi legati alle "relazioni industriali", ai salari o alle condizioni di lavoro. Secondo il Gruppo i disordini sono scoppiati mercoledì mattina, quando un dipendente avrebbe colpito con violenza un caporeparto. Successivamente i dipendenti armati di spranghe hanno poi colpito alcuni responsabili "alla testa, alle gambe e alla schiena, provocando emorragie e svenimenti".
Vertenza su salari e pensioni. Totalmente opposta la versione del sindacato dei lavoratori Ram Meher, secondo il quale sarebbe stato un supervisore a maltrattare un lavoratore, sospeso poi dopo la presentazione di una denuncia contro il superiore. Questo fatto avrebbe causato diversi attriti tra dirigenza e operai; mentre si tentava una risoluzione pacifica, la "società chiamava centinaia di buttafuori sul suo libro paga per attaccare i lavoratori e sottometterli". Alla radice del clima di forte tensione, tuttavia, ci sarebbero forti controversie tra la dirigenza della Maruti Suzuki e gli operai su pensioni e salari. Una vertenza che si protrae dall'anno scorso.
Marcia degli operai della Maruti Suzuki attaccata dalla
polizia
Il 19 maggio i lavoratori della Maruti Suzuki, stabilimento
collocato nel nord dell’India, hanno lanciato una giornata di mobilitazione per
chiedere il reinserimento di 546 operai a tempo indeterminato e più di 1800
operai a tempo determinato, licenziati a luglio poiché avevano costituito
Maruti Suzuki Workers Union, il primo sindacato a essere entrato in fabbrica e
composto dagli stessi operai. Inoltre, i lavoratori chiedevano l’immediato
rilascio di 147 lavoratori arrestati in precedenza con false accuse di essere
responsabili di un incidente sul posto di lavoro che ha portato alla morte di
una persona. L’obiettivo della giornata del 19 era di andare sotto la residenza
del ministro dell’Industria e dell’Economia dello stato di Haryana, Randip
Singh Surjewala. Già dal giorno prima, il governo della Haryana ha imposto un
coprifuoco per impedire a migliaia di sostenitori della lotta dentro la Suzuki
di raggiungere il concentramento del presidio, la cittadina di Kaithal è stata
completamente militarizzata, la stazione ferroviaria e le fermate dei bus
costantemente controllate. In tarda serata, sono stati arrestati 96 attivisti
che hanno tentato di violare il coprifuoco e in seguito, alle prime ore del
mattino, la polizia ha arrestato altri 4 lavoratori. Nonostante questi
provvedimenti, il 19 maggio i lavoratori e altri circa 1500 attivisti si sono
messi in marcia verso la residenza del ministro, richiedendo anche l’immediato
rilascio delle persone arrestate la sera prima. Poco dopo, le forze dell’ordine
hanno caricato da più lati e a più riprese, hanno tirato lacrimogeni e attivato
l’idrante per disperdere la folla. Durante questa brutale operazione sono stati
feriti diversi manifestanti, alcuni sono stati portati all’ospedale a causa
delle ferite riportate e sono stati arrestati altri 11 attivisti.
La Maruti Suzuki ha una capacità di produzione di 550.000 veicoli l’anno ed è una delle aziende primarie della zona. Allo stesso tempo, le condizioni di lavoro nella fabbrica sono molto dure: gli orari lavorativi sono molto lunghi ed estenuanti, le pause corte e rare, gli incarichi monotoni e le misure di tutela della salute e della sicurezza esigue. Inoltre a luglio dell’anno scorso, un responsabile ha insultato pesantemente e minacciato con il licenziamento un lavoratore Dalit (casta degli Intoccabili), scatenando scontri tra le guardie della fabbrica e i lavoratori; in quest’occasione sono state ferite più di centro persone e una grande parte della fabbrica ha preso fuoco. A partire da questo episodio, i lavoratori hanno costruito giornate di mobilitazioni, manifestazioni, presidi e scioperi della fame per chiedere il miglioramento delle condizioni di lavoro. Da parte sua, il governo della Haryana, che ha perennemente strizzato l’occhio ai padroni e ai responsabili della fabbrica, si è sempre girato dall’altra parte o ha cercato di reprimere la rabbia dei lavoratori con manganelli, lacrimogeni e arresti su arresti. Dopo la giornata del 19 maggio, gli operai della Maruti hanno dichiarato che la loro battaglia per avere maggiore sicurezza sul lavoro e per ottenere il reinserimento dei colleghi licenziati e il rilascio degli attivisti arrestati continuerà con ancora maggiore tenacia e determinazione.
La Maruti Suzuki ha una capacità di produzione di 550.000 veicoli l’anno ed è una delle aziende primarie della zona. Allo stesso tempo, le condizioni di lavoro nella fabbrica sono molto dure: gli orari lavorativi sono molto lunghi ed estenuanti, le pause corte e rare, gli incarichi monotoni e le misure di tutela della salute e della sicurezza esigue. Inoltre a luglio dell’anno scorso, un responsabile ha insultato pesantemente e minacciato con il licenziamento un lavoratore Dalit (casta degli Intoccabili), scatenando scontri tra le guardie della fabbrica e i lavoratori; in quest’occasione sono state ferite più di centro persone e una grande parte della fabbrica ha preso fuoco. A partire da questo episodio, i lavoratori hanno costruito giornate di mobilitazioni, manifestazioni, presidi e scioperi della fame per chiedere il miglioramento delle condizioni di lavoro. Da parte sua, il governo della Haryana, che ha perennemente strizzato l’occhio ai padroni e ai responsabili della fabbrica, si è sempre girato dall’altra parte o ha cercato di reprimere la rabbia dei lavoratori con manganelli, lacrimogeni e arresti su arresti. Dopo la giornata del 19 maggio, gli operai della Maruti hanno dichiarato che la loro battaglia per avere maggiore sicurezza sul lavoro e per ottenere il reinserimento dei colleghi licenziati e il rilascio degli attivisti arrestati continuerà con ancora maggiore tenacia e determinazione.
Appello dei lavoratori incarcerati della Maruti-Suzuki
Pubblichiamo l’appello di un gruppo di lavoratori della
Maruti-Suzuki incarcerati a seguito delle lotte di cui avevamo dato conto mesi
fa, e il documentario «Count on us», che racconta i sogni, le aspettative e
l’esperienza degli operai attraverso le storie di Jitender e Rajesh, due ex
operai della Maruti-Suzuki. L’appello dà voce a decine di lavoratori ancora
rinchiusi nelle carceri indiane dopo i duri scioperi che li hanno visti
protagonisti. Trattenuti con accuse sommarie, privi di alcun diritto, separati
dalle famiglie e dai colleghi e nella quasi totale indifferenza dell’opinione
pubblica indiana, le voci di questi operai non parlano del lato oscuro dello
sviluppo, ma di uno dei suoi aspetti costitutivi. Esse mettono in luce anche un
aspetto del sistema giudiziario indiano che interessa poco i commentatori
italiani, preoccupati per mesi di salvare l’onore della patria attraverso la
difesa del diritto internazionale in seguito al caso dei due Maròaccusati dell’omicidio di due pescatori al largo
del Kerala. Li pubblichiamo come atto dovuto, dopo aver raccontato
l’insubordinazione operaia che ha visto protagonisti questi lavoratori, perché
questo appello e il documentario chiariscono alcuni contorni della vicenda e
raccontano la rappresaglia che li ha colpiti. Lo facciamo per continuare la
discussione su una delle principali frontiere dello sviluppo, dove le lotte
operaie ingaggiano quotidianamente un duro scontro con gli eroi del capitale.
Appello dei lavoratori incarcerati della Maruti Suzuki
Siamo i lavoratori di Maruti Suzuki, siamo dietro le sbarre
dal 18 luglio 2012 a causa di una vera e propria cospirazione, senza alcun tipo
d’indagine preliminare. 147 di noi sono rinchiusi nella prigione centrale di
Gurgaon.
Da luglio, ben 2500 lavoratori con un contratto a tempo indeterminato
sono stati licenziati. In questi ultimi otto mesi abbiamo inviato un appello ai
funzionari amministrativi e ai rappresentanti eletti, tra cui il primo ministro
dell’Haryana e il Primo Ministro dell’India. Ma i nostri appelli non sono stati
ascoltati e non ci è stata concessa la cauzione.
Le accuse presentate dalla polizia di Haryana in tribunale
non presentano nomi di eventuali testimoni, e sono quindi incomplete.
Questo è solo un assaggio del continuo attacco arbitrario ai
nostri diritti democratici e vediamo come il diritto è piegato e si schiera
chiaramente con i padroni dell’azienda. Molti dei nostri compagni di lavoro
sono senza genitori e hanno in carico tutta la famiglia. Molte delle mogli dei
lavoratori erano incinta quando siamo stati messi dietro le sbarre. E anche
quando è arrivato il momento del rilascio, ai lavoratori non sono state
concesse né cauzione né custodia cautelare. Noi non sappiamo quali circostanze
abbiano condotto all’arresto. Diamo alcuni esempi della nostra situazione:
1. Uno dei nostri compagni di lavoro, Sumit s / o Shri
Chattar Singh, non ha nessuno in famiglia se non la moglie. Anche quando lei ha
partorito in un ospedale di Gurgaon, la richiesta di uscita su cauzione o sulla
parola presentata da Sumit è stata respinta.
2. Uno dei nostri compagni di lavoro, Vijendra s / o Dalel
Singh è l’unico membro nella sua famiglia con un reddito. Sua madre stava male
e non poteva aiutare sua moglie, che era incinta e ha partorito in un ospedale
di Jhajjhar. Anche allora, non è stata concessa a Vijendra né la cauzione né la
libertà vigilata.
3. Nel caso di uno dei nostri compagni di lavoro, Ramvilas s
/ o Shri Silak Ram, la nonna, cui era molto affezionato, si è ammalata dopo che
Ramvilas è stato messo dietro le sbarre ed è morta poco tempo dopo. A Ramvilas
non è stata nemmeno concessa la libertà vigilata per incontrare sua nonna sul
letto di morte o per partecipare al funerale. Dopo alcuni giorni ossia quando
sua moglie ha partorito, la sua richiesta di libertà su cauzione e la condizionale
sono state respinte. Tutto ciò ha causato un forte shock per lui.
4. Uno dei nostri compagni di lavoro, Prempal, s / o Shri
Chhiddilal, aveva la responsabilità di prendersi cura della sua famiglia da
solo, l’intero sostentamento della sua famiglia dipendeva solamente dai suoi
guadagni. Quando è stato gettato in prigione arbitrariamente, la figlia di due
anni si è ammalata ed è morta, anche a causa del dolore per l’assenza di suo
padre. La ferita doveva ancora rimarginarsi quando anche la madre, distrutta
dalla prigionia del figlio e dalla morte della nipote, si ammalata ed è morta.
Ma anche dopo tutto questo, Prempal si è visto negare l’autorizzazione alla
libertà vigilata e gli è stata concessa solo un’ora di visita il giorno dopo il
funerale di sua nonna. Sua moglie, rimasta sola in casa e colpita da questi
gravi lutti, si è ammalata ed è stata ricoverata in ospedale. Sta ancora poco
bene e non c’è nessuno disposto a prendersi cura di lei. Certamente quanto
accaduto ha causato una terribile agonia per Prempal.
5. Uno dei nostri compagni di lavoro, Rahul, s / o Shri
Vinod Ratan, è l’unico figlio maschio dei suoi genitori. Ha una sorella che si
è sposata a novembre del 2012, ma a lui non è stata nemmeno concessa la
possibilità di partecipare alla cerimonia dikanyadan. Il matrimonio ha
avuto così luogo in un contesto di tristezza e Rahul deve ancora riprendersi da
questa ferita.
6. Uno dei nostri compagni di lavoro, Subhash, s / o Shri
Lal Chand, era molto vicino alla nonna. Dopo la sua prigionia, la nonna ha
cominciato a digiunare, passando gran parte del proprio tempo a pensare a suo
nipote; è così che è morta di dolore qualche giorno dopo. Ma a Subhash non è
stato concesso nemmeno di partecipare al suo funerale.
Questi e molti altri fatti che avvengono ogni giorno nella
nostra vita, sono sufficienti per riempire le pagine di un intero libro.
A proposito di noi: la nostra identità, la nostra
famiglia, il nostro lavoro.
Siamo tutti figli di operai e contadini. I nostri genitori, con grande sforzo e sacrificio, hanno cercato di assicurarci un’istruzione, ci hanno insegnato a stare in piedi da soli, a fare qualcosa di degno nella nostra vita, aiutando la nostra famiglia in difficoltà. Ci siamo ritrovati nell’azienda della Maruti Suzuki dopo aver superato le prove scritte e orali effettuate dalla Società secondo i termini e le condizioni stabilite dalla stessa. Prima del nostro ingresso, la società ha effettuato diversi i tipi di indagine, come la verifica della polizia della nostra residenza o la presenza di eventuali precedenti penali. Nessuno di noi ne aveva.
Siamo tutti figli di operai e contadini. I nostri genitori, con grande sforzo e sacrificio, hanno cercato di assicurarci un’istruzione, ci hanno insegnato a stare in piedi da soli, a fare qualcosa di degno nella nostra vita, aiutando la nostra famiglia in difficoltà. Ci siamo ritrovati nell’azienda della Maruti Suzuki dopo aver superato le prove scritte e orali effettuate dalla Società secondo i termini e le condizioni stabilite dalla stessa. Prima del nostro ingresso, la società ha effettuato diversi i tipi di indagine, come la verifica della polizia della nostra residenza o la presenza di eventuali precedenti penali. Nessuno di noi ne aveva.
Quando siamo entrati in azienda, lo stabilimento di Manesar
della società era ancora in costruzione. All’epoca immaginavamo il nostro
futuro con lo sviluppo della fabbrica, abbiamo investito grande energia e
dedizione per portare l’impianto di Manesar a un nuovo livello.
Quando il mondo intero stava lottando contro la crisi
economica, abbiamo lavorato due ore in più al giorno per raggiungere una
produzione di 10,5 milioni di auto in un anno. Siamo stati gli unici artefici
del profitto crescente della società e oggi siamo trattati come criminali e
assassini, quelli senza cervello che hanno provocato un incendio doloso!
Quasi tutti noi siamo figli di poveri operai o vediamo da
famiglie di contadini la cui sopravvivenza dipende dal nostro lavoro. Abbiamo
lottato per tessere il nostro futuro e quello della nostra famiglia, per
realizzare sogni come quello di una casa, di una migliore educazione per i
nostri fratelli-sorelle e per i nostri figli, in modo che possano avere un
futuro luminoso, garantendo così una vita confortevole per i loro genitori, che
con la loro fatica hanno permesso tutto questo.
In cambio, siamo stati sfruttati all’interno della fabbrica
in tutti i modi possibili. Anche qui, solo alcuni esempi:
1. Se un lavoratore durante i turni non stava bene, non gli
era permesso di andare in infermeria e veniva costretto a proseguire il lavoro
in quelle condizioni.
2. Non ci era permesso andare in bagno durante l’orario
lavorativo, si poteva solo all’ora del tè o durante la pausa pranzo.
3. I superiori usavano comportarsi con gli operai in modo
molto scortese, con un linguaggio volgare, schiaffeggiandoli o ridicolizzandoli
per punirli.
4. Se un lavoratore era costretto a stare a casa 3-4 giorni
per motivi di salute, o a causa di qualche incidente, o per un grave problema
in famiglia, o per la morte di un parente, metà del suo stipendio, che
ammontava a quasi 9000 Rupie, veniva detratto dall’impresa.
A causa di questo continuo sfruttamento, i lavoratori hanno
sentito il bisogno di formare un sindacato. La società Maruti Suzuki era però
contro l’idea di un sindacato e per questo ci sono stati tre scioperi dei
lavoratori nel 2011. Dopo il terzo sciopero, trenta dei nostri compagni
lavoratori sono stati costretti a dare le dimissioni perché avevano partecipato
agli scioperi. Ma alla fine di febbraio 2012 siamo riusciti ugualmente a
ufficializzare il nostro sindacato, grazie all’allora Direttore delle Risorse
Umane Late Shri Awanish Dev Kumar, che ci ha aiutato. La società, adirata a
causa dall’atteggiamento disponibile del signor Dev nei nostri confronti, lo
spinse a rassegnare le dimissioni. Ma l’azienda non ha accettato perché le sue
dimissioni rischiavano di far emergere i misfatti nascosti dell’azienda. Per schiacciare
il sindacato e per rimuovere il signor Dev dalla sua carica, l’azienda, con un
piano premeditato, ha chiamato buttafuori e teppisti all’interno dei locali
della fabbrica il 18 luglio 2012 permettendogli di provocare l’«incidente».
La situazione attuale dei lavoratori all’interno del
carcere.
Noi, in totale 147 lavoratori, siamo stati messi dietro le
sbarre senza alcun tipo d’indagine, e ora siamo qui da più di 8 mesi.
All’interno del carcere siamo psicologicamente stressati. Molti di noi sono affetti
da malattie come la tubercolosi, molti di noi sono affetti da gravi forme di
depressione.
A causa di questo le nostre famiglie stanno rischiando di
morire di fame. L’educazione delle bambine e dei bambini è ora sospesa, sono
sospesi, quindi, i loro diritti fondamentali. Il futuro delle nostre famiglie è
immerso nel buio. Tutti i membri della nostra famiglia sono mentalmente troppo
turbati. Abbiamo paura che facciano qualche passo falso a causa dello stato di
pressione mentale in cui si trovano.
La situazione attuale dei lavoratori al di fuori del
carcere
Oltre a mettere 147 addetti dietro le sbarre, la società ha
terminato il rapporto con quasi 2500 lavoratori regolari e a contratto, tutto
ciò senza un’indagine nazionale, e questi lavoratori ora sono disoccupati.
Anche la condizione delle loro famiglie è molto grave. Il fatto è che ora
questi lavoratori non hanno alcuna prova di esperienza lavorativa, chi di loro
si fa avanti per sostenerci viene arrestato e incarcerato immediatamente così
la loro carriera è condannata (come l’arresto di Iman Khan, un membro del
comitato di lavoro provvisorio della MSWU e il cui nome non era in alcuna
relazione delle forze di sicurezza; come altri 65 lavoratori che sono sotto
mandato di cattura). Nessuno dei lavoratori incarcerati o dei lavoratori
licenziati ha più un’occupazione capace di garantire il sostentamento delle
persone a loro carico e questo sta mettendo tutti sotto pressione.
Ciò nonostante, la lotta per la giustizia dei nostri
compagni di lavoro ci dà speranza ed energia dietro le sbarre. In questa lotta,
che è riuscita a uscire anche fuori dalla fabbrica, nella società, da ormai più
di 8 mesi, la notizia della solidarietà ricevuta da varie parti del paese da
parte di lavoratori e di gente comune continua a dare speranza ed entusiasmo al
nostro spirito.
Non vi è alcuna porta, di qualsiasi rappresentante eletto,
cui non abbiamo bussato nell’arco di questi 8 mesi. Abbiamo portato il nostro
appello di giustizia al ministro dell’industria, al Primo Ministro, ma il
governo è schierato con la direzione aziendale e con i padroni, invece di
ascoltare noi lavoratori.
Facciamo appello al governo per l’ultima volta al fine di
ottenere la giustizia che ci è dovuta, prima di essere costretti ad assistere
ai suicidi o alle morti di altre persone.
Speriamo di avere la vostra solidarietà.
Maruti Suzuki Workers Union
(Il sindacato MSWU è dietro le sbarre del carcere
centrale di Gurgaon)
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