Meglio tardi che mai! Riportiamo questo articolo del
Manifesto che ammette l’ignoranza dei media dei paesi imperialisti e
soprattutto di quelli italiani sulla situazione nei paesi come l’India, ma
potremmo aggiungere le Filippine, il Perù, la Turchia per rimanere ai
paesi oppressi dall’imperialismo.
Naturalmente si tratta di una ignoranza anche voluta dato
che i temi di popoli in lotta per la propria liberazione dal dominio
imperialista, soprattutto se condotti secondo l’ideologia del proletariato che
ha raggiunto lo stadio del marxismo-leninismo-maoismo, non sono tra i più
accreditati dai borghesi grandi medi e piccoli.
DEMOCRAZIAKMZERO
Arundhati Roy tra i maoisti
Pierluigi Sullo
Confesso la mia ignoranza: quando ho letto che due italiani,
Claudio Colangeli e Paolo Bosusco, erano stati rapiti nello stato indiano
dell'Orissa dai guerriglieri maoisti, o naxaliti, ho pensato a un gruppo
sopravvissuto come un fossile di altre epoche, magari simile ai Khmer rossi
cambogiani. Colangeli è stato liberato e di Bosusco, valsusino e No Tav, si sa
che sta bene. Probabilmente il rapimento, la trattativa per liberarli, forse (come
dice il Correre della sera citando l’antiterrorismo indiana) una disputa tra
fazioni diverse del Partito Comunista indiano (maoista), sono segmenti della
complicata e lunghissima guerra nelle aree centrali del continente indiano.
Anzi lo sono di sicuro. Ma di che guerra si tratti non è affatto
chiaro, stando alle poche informazioni che i media italiani forniscono. L’ultimo
libro di Arundhati Roy, la scrittrice indiana che viene citata sempre per il
suo magnifico romanzo “Il dio delle piccole cose” e che da molti anni conduce
una campagna civile su quel che accade nel suo paese per mezzo di libri,
reportage, conferenze, partecipazione ad eventi come il Forum sociale mondiale
che si tenne a Mumbai diverso tempo fa, si chiama “In marcia con i ribelli”
(Guanda) ed è in gran parte il racconto di come lei, Arundhati, ha trascorso
del tempo nelle foreste dell’Orissa su cui lo stato indiano non riesce a
esercitare potere, che invece è nelle mani dell’esercito maoista, delle milizie
di villaggio e dei consigli popolari che assicurano l’(auto)governano. Ed è una
lettura sorprendente, oltre che affascinante. Noi immaginiamo l’India come un
paese sì con una frattura, tra ricchi e poveri, enorme ma che “cresce” al ritmo
del 6 o 7 per cento l’anno, quasi come la Cina , e che sta producendo il suo sforzo per
modernizzarsi. Lo scenario che Arundhati Roy racconta, guardandolo dal fondo
della foresta mentre cammina accanto a giovani donne e uomini armati di fucile,
è infinitamente più drammatico. In particolare, il governo indiano ha offerto
pre-concessioni minerarie (bauxite e molti altri minerali) a grandi imprese
multinazionali. Nonostante la
Costituzione indiana vieti lo sfruttamento delle “terre
tribali” (gli adivasi, gli indigeni, sono circa cento milioni), le autorità
stanno conducendo una guerra che comporta distruzione di villaggi, arresti
arbitrati, uccisioni, stupri e deportazioni. Le cifre sono impressionanti.
Così, il movimento naxalita, con la sua ideologia anchilosata e i suoi metodi
militari spesso cinici, si è via via affiancato alla resistenza degli adivasi,
espandendosi in tutta l’India centrale. Di forme di resistenza a questa
“crescita” che è in verità una guerra contro i poveri, dice Arundhati, in India
ve ne sono di moltissimi tipi, e forse, conclude, la capacità di ricacciare
indietro come pure è accaduto in qualche caso, lo “sviluppo” violento, viene
proprio da questa pluralità.
Leggete questo libro, vi farà riflettere. Ad esempio quando
cita la “lezione magistrale” ad Harvard di uno dei politici indiani più
potenti, il quale afferma: “La democrazia - o meglio le istituzioni
democratiche - … hanno in effetti reso più difficile la sfida dello sviluppo.
Il manifesto
29/3/12
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